lunedì 26 aprile 2010

Chi siamo

Tiziana Valpiana.
Fondatrice nel 1981 ed attualmente Presidente onoraria dell'Associazione 'Il Melograno' Centri Informazione Maternità e Nascita, ha lavorato per 15 anni come 'facilitatrice' nei gruppi di accompagnamento alla nascita e alla maternità.
Fondatrice nel 1991 dell'Associazione CINI Italia, gruppo di sostegno al Child In Need Institute di Calcutta (India) che offre servizi sanitari e sociali di comunità a mamme e bambini poveri dei villaggi della regione. In particolare, attraverso il Progetto "Adotta una mamma" sostiene in oltre 75 villaggi le donne in gravidanza, nel parto e nei primi anni di vita del bambino. Già Presidente, è attualmente parte del Consiglio Direttivo.
Parlamentare per Rifondazione Comunista dal 1994 al 2008 ha lavorato in particolare per la salute della donna, sui temi della nascita, per l'allattamento materno, per il riconoscimento dei diritti della persona bambina fin dal momento della nascita, per promuovere l'infanzia come bene comune . E' stata tra le promotrici della Commissione bicamerale per l'Infanzia. E' vicepresidente dell'ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) di Verona (in qualità di familiare) e fa parte del Direttivo dell'Istituto Veronese per la Storia della Resistenza
Nel 2005 propone la candidatura di Ibu Robin Lim per il premio internazionale 'Alexander Langer' che le è stato conferito nel 2006. Nel 2010 è copromotrice del Progetto "Madri Sane, Terra Felice", fatto proprio dalla Fondazione 'Alexander Langer'. Autrice di libri e articoli sulla nascita, l'alimentazione e le cure naturali. Risiede a Verona.

Marzia Bisognin
Madre di tre figli, nati in casa con un'ostetrica della vecchia scuola, è studiosa di lungo corso del tema della nascita.
Ex-diarista, creativa inconcludente, ha scritto un testo sull'esperienza del parto depositato all'Archivio Diaristico Nazionale e ha condotto laboratori sull'uso della voce per donne in gravidanza.
Collaboratrice della rivista Una Città, blogger e netweaver. Nel 2010 è cofondatrice del progetto Madri Sane, Terra Felice, e ne amministra la presenza on-line.
Risiede a Bologna.

Maurizio Rosenberg Colorni
Giornalista e fotografo, instancabile studioso di culture del mondo. Ha fondato e diretto per oltre vent'anni la casa editrice Red, tra le prime in Italia a pubblicare testi sulla visione olistica del corpo e della medicina, con particolare attenzione al tema della maternità.
Vive a Bali.

Daniele Saibene
Sposato e padre di 3 figli. Lavora come responsabile progetti a CINI Italia, gruppo di sostegno al Child In Need Institute, associazione che si occupa di progetti di sviluppo a Calcutta, India.
Precedentemente è stato diversi anni in Africa ed America Latina come responsabile di progetti ambientali ed idrici.

Cristina Cosentino
Giornalista, madre di una bambina. E' stata editrice e redattrice di "DWPress-il quotidiano delle donne", una agenzia di stampa ideata per porre l'attenzione sui saperi, sulle passioni e sulle azioni positive intese a valorizzare i percorsi delle donne. Ha curato la campagna nazionale ed europea per la Marcia Mondiale delle Donne, la campagna informativa sulla Procreazione Medicalmente Assistita, la comunicazione delle Donne in Nero, la campagna informativa sulla Violenza sessuale. E' stata per 7 anni capo ufficio stampa di Rifondazione Comunista alla Camera dei Deputati. Ha collaborato e collabora con numerosi quotidiani, radio e settimanali nazionali.

Martina Zambelli (1980)
Ha conseguito una laurea in Antropologia culturale con specializzazione in antropologia alpina e di genere presso l'Università Ca' Foscari di Venezia.
Dal 2007 al 2009 è consulente per l'orientamento presso la Libera Università di Bolzano. Dall'ottobre 2009 collabora con la Fondazione Alexander Langer di Bolzano.

foto da Haiti




foto da Aceh




foto da Bali




domenica 25 aprile 2010

Parto non violento

Cosa significa per te praticare il “parto nonviolento”?

Inizio spiegando cosa vuol dire per me violenza nel parto. C’è violenza quando togli potere alla donna. Quando non le dai la possibilità e il diritto di scegliere per se stessa. Se usi procedure mediche su cui lei non è d’accordo o non è bene informata. Per esempio l’episiotomia. Io non la faccio, semplicemente non la faccio, sento che non è necessaria. Se la donna è d’accordo nel farla e il medico crede veramente che la donna in questo modo sia più sicura, che sia necessaria, e che sia il danno minore, allora non è esattamente una violenza, ma piuttosto una procedura chirurgica. È violenza se la donna dice no, non ferirmi e la si ferisce lo stesso, nel momento più sensibile della sua vita. E' violenza se non viene sufficientemente informata sulla procedura medica che è necessario eseguire. È violenza quando operi una donna subito dopo il parto, se ha avuto qualche lacerazione, e la ricuci senza alcuna attenzione al suo dolore.

Appena partorito, le donne dovrebbe essere felici, oppure dovrebbero potere gridare e provare magari anche dolore, ma dovrebbero essere lasciate in pace, con il loro bimbo sul grembo. Ma se tu la operi, intervieni senza fare alcuna attenzione e cura, lei lo sente.
A volte un’ostetrica si trova a dover necessariamente fare un intervento doloroso. Quando devo rimuovere una placenta ad una donna con la placenta ritenuta, allora devo fare un intervento doloroso, per far sopravvivere la donna, ma le chiedo il permesso, abbiamo un accordo, lei mi guarda negli occhi tutto il tempo. E dopo lei mi dice che davvero non ha sofferto tanto. È davvero d’accordo a salvare la propria vita. Ma la si può considerare violenza se solo la si spinge a fare ciò che non vuole.
Ecco, il parto nonviolento è accompagnare con sensibilità la donna nel momento più significativo della sua maternità. Io credo che un inizio dolce e sano sia il vero fondamento di una vita felice.

(dall' intervista a Ibu Robin di Mao Valpiana - Azione nonviolenta 2006)

sabato 24 aprile 2010

15 Aprile, Report da Jacmel, Haiti

Da due settimane piove ininterrottamente e le notti sono un po' piu' fresche.
Mentre la pioggia e' un toccasana per le piantagioni e viene considerata una benedizione, cosi' non e' per le migliaia di persone che nelle citta' vivono sotto le tende. Molti rimangono all'aperto per cedere un tetto ai loro familiari.
Ci sono mamme che si presentano da noi per le cure prenatali sostenendo di non possedere una tenda sotto la quale riparare i propri figli.
Da parte nostra abbiamo effettuato visite domiciliari per verificare queste situazioni e abbiamo scoperto che molte donne vivono in coabitazione con altre famiglie.
Siamo venute a conoscenza che a Port au Prince un notevole numero di tende e' usato come riparo per i documenti ammassati in pile alte come palme di cocco.
E' proprio quando piove che ci rendiamo conto della fortuna di avere un tetto sopra le nostre teste e di poter dare rifugio a quelle mamme che si appoggiano a noi per partorire in un luogo sicuro ed asciutto.

La clinica prosegue la sua attivita' senza particolari problematiche.
Ogni clinica ha oltre 60 pazienti, ognuna delle quali viene sottoposta a controllo mediamente due volte la settimana.
Le visite pre-parto sono state 253 ed i parti 138.
Ci sono donne che si mettono in cammino sin dalle 6 del mattino per raggiungere la clinica alle 8, orario di apertura.
Alla fine della giornata siamo stanchi, sporchi ma raggianti...come se il nostro team avesse fatto la differenza per la popolazione di Haiti.
Le voci positive sull'operato della clinica Bumi Sehat hanno raggiunto anche le citta' vicine e la nostra speranza e' di continuare a crescere
Attualmente il nostro staff si compone di 4 addetti alla sicurezza, 2 ostetriche full time, che ruotandosi assicurano una presenza continua, 2 addetti alle pulizie con il compito di assicurare che i letti dei pazienti siano sempre puliti e freschi per accogliere un nuovo nato, 1 giardiniere full time che cura il terreno attorno al dome cosi' da renderlo un paradiso, 2 segretari amministrative full time che lavorano incessantemente per sbrigare le pratiche legali. Infine c'e' Reggie, amministratore della clinica che tiene il nostro team concentrato ed efficiente.
Il team di Haiti e' diventato quasi una famiglia dove si lavora molto bene insieme.
Il lavoro in Haiti e' difficile e impegnativo ma ognuno da' il meglio di se.

Ci e' stato chiesto che il programma educativo di Bumi Sehat sia una soluzione ai bisogni di educazione alle donne, qui in Haiti.
Per questo, Tania, la responsabile del programmma, lo presentera' al Ministro dell'Educazione la settimana prossima.

I corsi di Bumi Sehat sono molto frequentati con conversazioni molto intelligenti e soluzioni creative per molti problemi di salute, nutrizione, abusi sessuali, allattamento, e pianificazione familiare.
Le nostre ostetriche che tengono i corsi devono avere un curriculum con esperienza nel campo della salute della donna.
Sono stata a visitare molte di queste classi e sono stata impressionata da tutti coloro che lavorano fino a tarda notte, dopo la clinica e i parti, per preparare le lezioni del giorno dopo.

Mentre scrivo c'e' una ragazza di 18 anni che sta partorendo il suo bambino. Un regalo della vita e un regalo per essere diventata mamma.
Bumi Sehat offre alle donne un posto sicuro dove partorire in pace, con tranquillita' e con l'assistenza e l'amore dello staff.

Ogni nascita e' un miracolo e queste miracolo sana le ferite di questa parte di Haiti.

Grazie per il vostro aiuto e per tutta la forza che ci date.

Kelly Dunn e l'intero staff Bumi Sehat di Haiti

2007, Due volontarie italiane in Aceh

2007, Due volontarie italiane in Aceh

sabato 17 aprile 2010

Un bambino alla volta


E’ nel contesto composito, multiforme e complesso di Bali che ha scelto inizialmente di lavorare Robin Lim, dopo avere vissuto in vari Paesi dei diversi continenti.
Esiste a Bali la consapevolezza di una frattura e di un conflitto profondo: quello fra modernità e tradizione, fra ricchezza spirituale e ricchezza materiale, fra l’idea di ‘sviluppo’ e l’idea di armonia.
Come altrove, a Bali avanza la modernizzazione (soprattutto nella sua versione americana e australiana) e i suoi valori; più che altrove, però, è presente a Bali una cultura locale e tradizionale che resiste ed offre proposte ‘forti’ nel campo dell’arte, della musica, del teatro, della danza, dei valori mitici e religiosi.

Nel campo specifico di cui Robin si occupa, quello dell’ostetricia e della salute delle donne e dei neonati, tutto ciò prende l’aspetto di un conflitto tra la ‘medicina scientifica’ importata dall’Occidente e la ‘medicina tradizionale’ , dove con questo secondo termine intendiamo non tanto e non solo i medicamenti naturali, quanto tutte quelle pratiche di salute e di assistenza reciproca, di trasmissione delle sapienze da madre in figlia che costituiscono la grande ricchezza di Bali e che rendono i balinesi il popolo forse più sorridente della Terra, ed i bambini felici e sprizzanti gioia come neanche possiamo più immaginare, nelle nostre città di oggi.
La medicina occidentale, per di più mal digerita, in questo contesto rappresenta una specie di avanguardia dei valori del capitalismo che entra nell’ esistenza delle persone, dettandone le regole e i valori : - il parto tecnologico, a proposito e a sproposito, invece di quello naturale e conviviale – una quantità di medicine potenti e costose, che pretendono di ‘uccidere’ la malattia più che rinforzare l’ organismo - ospedalizzazioni per i più futili motivi… ma in compenso molto costose.
Pratiche che portano a risultati disastrosi, anche in temini puramente quantitativi: una mortalità materna di 718 eventi su 100.000 nascite (la più alta percentuale in tutto il Sudest asiatico, nonostante che Bali sia una delle zone economicamente più ricche).
Il parto cesareo frequentissimo, la spinta verso l’allattamento artificiale, lo svuotamento del valore esistenziale del parto e della gravidanza e l’insinuazione nella donna della sfiducia nelle proprie forze e capacità… sono questi i corollari che ben conosce anche chi, in Occidente, opera con lo stesso atteggiamento con cui lavora Robin.
Una medicina privata , esercitata in luoghi privati, e a fini di profitto privato, che va sostituendosi a una medicina sociale che si esercita all’interno della collettività del villaggio, e che inizia dalla conoscenza delle pratiche del corpo, dei cibi, delle erbe e dei loro valori salutari e simbolici.
E’ qui, in una società che sta conoscendo questa fase di ‘sviluppo’, che Ibu Robin ha scelto di lavorare, senza peraltro dimenticare il suo bagaglio scientifico (è un’ostetrica diplomatasi negli Stati Uniti), ma anzi portandolo in tal modo al suo più alto e autentico livello.

Ecco una frase che Ibu Robin cita frequentemente:
‘‘Una rivoluzione potrà avvenire nella nostra visione della violenza quando comincerà ad aversi la consapevolezza che il processo della nascita è un periodo determinante per lo sviluppo della nostra capacità di amare’’.
E’ stata detta da Michel Odent, un medico che in Occidente è portatore di un messaggio analogo di convivialità e di maturità etica e sociale
“Io credo" dice Ibu Robin "che un inizio della vita dolce e sano sia il vero fondamento di una vita felice. La pace del mondo può venire costruita, cominciando oggi, un bambino alla volta”.

Maurizio Rosenberg Colorni

lunedì 12 aprile 2010

Guerrilla Midwife a Cannes




GUERRILLA MIDWIFE -
Documentario di Deja Bernhardt sul lavoro di Ibu Robin Lim,
“L’ostetrica dai piedi scalzi”

Cannes Indipendent Film Festival

In ogni paese di questo pianeta, c'è una guerra che si combatte per ottenere un bene più prezioso dell'oro o del petrolio. Il campo di battaglia è il corpo di una donna quando lei è più vulnerabile e bisognosa di protezione ... quando sta partorendo.
“Guerrilla Midwife”, il documentario di Deja Bernhardt che sarà presentato al “Cannes Indipenden Film Festival”, segue Ibu Robin Lim, l’ostetrica dai piedi scalzi”, nelle trincee del suo lavoro. Dalle strade odorose di Bali, dove l'emorragia dopo il parto è una delle principali cause di morte, ai desolati campi profughi della zona del disastro dello tsunami ad Aceh, dove combatte la sua battaglia con una sola arma, l'amore. In questo documentario straziante e culturalmente affascinante, si scopre perché si devono reinventare i nostri protocolli per la gravidanza e il parto, al fine di preservare l'umanità del nostro pianeta.

Robin Lim, vincitrice del Premio Internazionale Alexander Langer 2006, sarà in Italia dal 1° al 20 maggio per presenziare come relatrice al Summit Mondiale per la Nascita e per presentare il progetto di solidarietà “Madri Sane, Terra Felice” in sostegno del suo lavoro di pronto soccorso ostetrico ad Haiti.

mercoledì 7 aprile 2010

Terremoto in Indonesia, 7 aprile

Messaggio di Ibu Robin

Team Bumi Sehat Aceh is all safe after the 7.8 earthquake at dawn.
There are no reported deaths in our area of Aceh Barat. The Clinic was
not damaged. We spoke with Dr. Eman, Eti, & Pak Sudung, they assure us
all is well. Ibu Rosni in Meulaboh reports minimal damage, but much
panic. .After shocks of 5+. The clinic is seeing only injuries caused
by panic, in our area there are no large buildings to fall down.
Mostly the Bumi Sehat team is focused on the Mom who is about to have
her baby there. We have not spoken yet with Dendy and Raihan in Banda
Aceh, as the phones seem to be down. They are further from the
epicenter, so we are pretty sure the City of Banda is ok too. There
seems to be no Tsunami following this earthquake, which is a huge
blessing.

Thank you for your love and prayers...
Love Ibu Robin & Team Bumi Bali

martedì 6 aprile 2010

Prefazione a "Dopo la nascita del bambino"


1 agosto 2007

Per le donne della mia generazione, un libro come “Noi e il nostro corpo”, opera collettiva di un gruppo femminista di Boston, che affrontava per la prima volta ‘a partire da sé’ anatomia e fisiologia del corpo femminile e le intrecciava con esigenze, problemi e desideri è stato una lente attraverso cui abbiamo letto le nostre esistenze e relazioni, mettendo in discussione i ruoli imposti, la famiglia, la sessualità subordinata al piacere maschile. Ha rappresentato il fondamento di un pensiero, perché ha svelato a ciascuna donna ciò che già intimamente sapeva, ma non poteva dire nemmeno a se stessa, non poteva confrontare con le altre, resa muta da millenni in cui la sessualità del corpo e della mente di donna era stata ridotta al silenzio dal poter patriarcale. Ci ha permesso di riprendere parola, con fatica e sofferenza, sul nostro corpo, scoprendo la possibilità di narrarlo con un linguaggio autonomo rispetto a quello maschile e scientifico.
Questo testo di Robin Lim mi ha riportato a quello perché parla della maternità attraverso esperienze di donne, le offre come ricchezza di punti di vista, le raffronta senza omologazione alcuna. Anatomia e fisiologia, problemi e desideri, paure e speranze, impotenze e onnipotenze che colgono ogni donna quando diviene madre, divengono le fondamenta di un pensiero forte e rinnovato, sostengono ciascuna donna ‘a partire da sé’, per ‘inventarsi’ come madre nel corpo e nella mente, per riuscire a porsi e a porre tutti quegli interrogativi che la ‘mistica della maternità’ non permette nemmeno di pensare. Robin Lim aiuta ciascuna donna a riconoscere legittimità a ciò che intimamente sente e non può dire né a se stessa né fuori di sé, pena non essere giudicata una ‘madre sufficientemente buona’.
E anche questo libro, in qualche maniera, è un libro collettivo: nasce dalle tante realtà in cui Robin Lim ha vissuto, America, Giappone, Cina, Filippine, Germania, Irlanda, Parigi, Singapore e, ora, Indonesia e Bali. Un libro corale per l’eredità che Robin Lim ha ricevuto dalle donne che l’hanno preceduta e preconizzata: la nonna materna ostetrica filippina, la nonna paterna, figlia di un irlandese e di una nativa americana, la madre, filippina-cinese.
Un libro comunitario, testimonianza viva di tante donne, diverse ma simili, che aiutano a comprendere gli aspetti e le sfumature che tutte le madri vivono nella complessità del dopo parto pur nell’unicità di ogni donna e di ogni esperienza affettiva, familiare e sociale...

Il secondo aspetto che mi ha colpita in modo particolare è l’aver ritrovato nelle parole, nelle riflessioni, nell’orientamento, perfino nelle soluzioni pratiche offerte in questo lavoro, nato dall’altra parte del mondo, un impianto culturale e un approccio filosofico, addirittura gli stessi accenti, che mi hanno spinta nel 1981 a fondare, assieme ad altre donne, madri e operatrici sociali, l’Associazione “Il Melograno”. Che ha scelto come frase-guida QUANDO NASCE UN BAMBINO, NASCE ANCHE UNA MADRE, proprio a significare, così come Robin Lim sostiene con questo libro, che divenire madre non è né automatismo, né solo istintualità, ma che madri si diventa piano piano attraverso una gestazione fisica ma anche emozionale e di crescita interiore, attraverso un parto vissuto come scoperta e rispetto delle straordinarie capacità e risorse del corpo di donna, attraverso la trama intensa e appassionata della relazione con il nuovo nato.
I Melograno, così come altri gruppi di aiuto e auto-aiuto sparsi nel mondo, forti anche del pensiero di Maria Montessori, di Frederick Leboyer, di Lorenzo Braibanti, di Grazia Honegger Fresco, di Michel Odent e di tante e tanti altri, con un lavoro gratificante ma impegnativo, il più delle volte volontario, con dedizione e disciplina, con amicizia e professionalità, soprattutto con pazienza e con ‘passione’ hanno tradotto in servizi la semplice constatazione che una madre ha necessità di essere curata per poter curare, accudita per poter accudire, incoraggiata per poter riservare un’incessante premurosa tenerezza al bambino.
Le oltre 15.000 donne che hanno frequentato i Centri “Il Melograno” nelle città dove è presente in Italia, luoghi di incontro connotati al femminile e molto "pensati" per accogliere, hanno lasciato il patrimonio inestimabile dei loro vissuti ed esperienze, hanno descritto la gioia di scegliere di diventare madri, la straordinaria e unica relazione con una persona ‘nuova’, ma anche le sofferenze in cui troppe volte vivono il post-partum. Periodo prezioso, opportunità per reinventarsi come donne e come madri, sprecato e sofferto tra malessere e disagio, in silenzio e solitudine.
Il ‘lavoro’ del Melograno sembra banale, ma, come spesso accade, la semplicità richiede studi sofisticati e difficili, molteplici e diversificate competenze professionali ed è distante dallo spontaneismo. E’ “essere presenti” e saper costruire una relazione autentica con ciascuna donna. Il Melograno è lì, per ogni singola donna e per il suo bambino, non solo per un sostegno pratico e sociale, ma come supporto alla sua singolarità.
Anche a fondamento del lavoro di Robin Lim c’è la volontà di sostenere ogni donna sul piano del vissuto personale, del contatto psicologico e corporeo, delle emozioni, condividendo informazioni, pratiche, esperienze, perché ciascuna possa riappropriarsi di un sapere personale perduto, tornando a riparlare un linguaggio più umano, più sereno, più vicino alla natura.
L’incontro con una donna dello spessore di Ibu Robin costituisce realmente un regalo della vita. La sorpresa è arrivata per me e per molti altri e, soprattutto, molte altre italiane grazie a Maurizio Rosenberg Colorni, editore, trasferitosi da qualche anno nell’Isola di Bali, dove ‘colleziona’ volti per raccogliere anime.
Un dono giunto con un soggiorno a Bali, l’Isola degli dei, la cui bellezza paesaggistica è pari solo alla regalità delle sue donne, rese ancor più flessuose dall’educazione alla danza. Donne che non hanno una vita facile, ma una vita intensa. Donne che, lavorino al telaio o in risaia, drappeggiano i loro splendidi abiti per esprimere una femminilità piena e intessono in ogni condizione, anche la più difficile, lavoro e gioia, offerte agli dei, forza e bellezza.
Anche il volto di Robin Lim è bellissimo, scolpito nei secoli delle sue profonde e variegate origini, reso dolce dall’Oriente, determinato dall’Occidente.
Da Bali racconta al mondo l’unicità dell’esperienza che passa attraverso il corpo delle donne. Ci rammenta che la riproduzione è quanto di più fortemente ci riporta alla nostra parte animale, ma che la fisiologia umana è sempre in pericolo se non la si promuove attraverso un’assistenza che ponga al centro le esigenze di ogni donna, e limiti lo strapotere che la medicalizzazione ha conquistato in questi ultimi decenni.
Quel suo lavorare incessante, con l’aiuto di rimedi naturali, della medicina cinese, dell’omeopatia, per garantire un’assistenza premurosa e competente alle madri, quel suo approccio complessivo alla salute di madre e bambino con un intervento nella e con la comunità per garantire alle donne più povere il parto più naturale, più sereno, più bello in una prospettiva anti-sacrificale del corpo femminile che diviene veicolo, passaggio e matrice del cambiamento sulla Terra, sono tradotti nelle parole di questo libro, che indica la necessità vitale di un sostegno nel periodo del dopo parto.
Perché Robin Lim lavora per garantire ai poveri, alle donne povere, il diritto alla bellezza, ad essere circondate dalla cura, dalla gentilezza, a divenire soggetto e a finalizzare la creatività di un corpo che sa riprodurre la specie alla modificazione della specie stessa.
Perché Robin Lim –e forse per questo a Bali la chiamano con deferenza Ibu, il titolo di Madre, Signora, che si antepone al nome delle donne sagge e importanti- sostiene: “la Pace si fa un bambino alla volta” aiutandolo ad avere una nascita nonviolenta. Una verità semplice, difficile, tremenda che potrebbe mettere la guerra fuori della Storia.
Perché Ibu Robin rispetta quel tempo naturale che ci insegna ad essere portatrici di Pace e a tramandare al bambino e alla bambina il linguaggio necessario per costruirla.
Perché, secondo Ibu Robin, “il frutto non può mai cadere lontano dall’albero”, e ogni nuova vita nasce dalla capacità di un’altra vita, quella della madre, di “sognare” l’esistenza dell’altro, in una trasformazione di sé e del nuovo nato che avviene grazie al desiderio di rinnovamento che la relazione stessa favorisce.
L’’ostetrica dai piedi scalzi’ ha fondato Yayasan Bumi Sehat (Terra felice), un’associazione che gestisce un piccolo centro di salute e molto altro per le madri e i padri e continua ad assistere parti a domicilio, anche in Aceh, nell’isola di Sumatra, una delle regioni maggiormente colpite dallo tsunami del 2004, dove fin da subito è accorsa per una straordinaria opera di ostetricia d’emergenza.
Tratti speciali del lavoro speciale di una persona speciale che mi ha spinta nel 2006, assieme a Maurizio Rosenberg e a Grazia Barbiero del Comitato Scientifico della Fondazione ‘Alxander Langer’, a candidarla al Premio istituito da quella Fondazione, nata per ricordare il viaggio troppo leggero su questa terra dell’europarlamentare dei Verdi che ha dedicato la breve vita a ‘costruire ponti tra le persone e i popoli’. Un ‘Premio Internazionale’, attribuito ogni anno a chi, in qualsiasi parte del mondo e con qualsiasi mezzo, si adoperi a costruire quella Pace per cui Alexander Langer ha offerto in sacrificio la propria vita.
Ed è stata l’attribuzione a Ibu Robin Lim del Premio 2006 a condurla per la prima volta in Italia e a permetterle di “costruire ponti” con l’Associazione Melograno e con tutti quelli che dal suo viaggio hanno potuto apprendere da chi opera ai confini del mondo, in una società definita ‘semplice’, la regola fondante di un moderno lavoro sulla maternità: l’ empowerment, il sostegno e lo sviluppo delle capacità e delle risorse di ciascuna donna valorizzandone le competenze di madre e incrementando consapevolezza e fiducia nelle proprie capacità.
Ogni donna è unica. E’ unica la sua situazione affettiva, familiare e sociale. La sua biochimica è unica. Anche il post-partum è un’esperienza individuale e unica, ma ci sono problemi che tutte le madri vivono.
Nella famiglia allargata, certo, una madre poteva non avere alcuna privacy, ma non le mancavano aiuto e compagnia. Oggi, in una società sempre più individualista e frammentata, soprattutto in una società multietnica, dopo una gravidanza affrontata sempre più spesso senza conoscerla, un parto disturbato (il processo fisiologico del parto, diceva Lorenzo Braibanti, non si può aiutare, ma si può disturbare) nel quale la donna si è sentita ‘espropriata’ (il dolore fisico nascosto riappare come dolore psichico?), senza alcun sostegno o struttura per alleviare il post partum, alle donne è dovuto un risarcimento.
Forse questo libro di Robin Lim, che cerca di tradurre e dare voce alle parole (grida, a volte) negate delle madri e individua che cosa non funziona, quali occasioni donne, neonati, famiglie, società e politica stanno perdendo, ne è l’inizio. Ci aiuta a ricordare che il corpo per cambiare si prende i 9 mesi della gravidanza, un tempo lento che, se lo ascoltiamo, impone una riorganizzazione del tempo anche per la mente, alla ricerca della donna ‘nuova’ e per il riconoscimento del proprio figlio. Un tempo magico, la “quarantena”: chi ne parla più?
Le donne di oggi, sicuramente più informate, sono spesso povere di tempo e di sapienze.
Non possono interrompere il lavoro o bloccare la carriera perché il tempo sociale non lo consente e sono spesso costrette a rinunce.
Non possono attingere all’eredità materna (la società cambia troppo in fretta e ciò che appartiene ad un’altra generazione non è più considerato attuale), non hanno luoghi in grado di sostenerle nella costruzione del legame madre-bambino. E così, abituate a vedere più che a sentire, a rifiutare ciò che non conoscono (il dolore), davanti a un cambiamento per cui non sono attrezzate, divengono fragili, dipendenti dagli esperti, dimentiche del fatto che non si dà libertà femminile senza signoria sul proprio essere corporeo.
Ibu Robin, attraverso esperienze di donne tanto diverse tra loro l’una dall’altra, che vivono in terre, culture e situazioni distanti l’una dall’altra, ci suggerisce di quali sostegni affettivi, emozionali, ambientali, di quali difese hanno bisogno le donne quando divengono madri.
La maternità per le giovani donne occidentali di oggi da destino è diventata una scelta. Sessualità, piacere, differenza, autodeterminazione dovrebbero essere, in teoria, conosciute, praticate, acquisite, ma, della maternità, in una società in cui sono prevalenti gli approcci medicalizzati e sottaciute emozioni, vissuti, contraddizioni, paure, rimane, una parte nascosta, rimangono fragilità non dette, paura del futuro e solitudine... Perché le condizioni e i ritmi di vita attuali lasciano ogni donna sola a sperimentare la nuova funzione di madre in un ambiente di isolamento e indifferenza che a sua volta contribuisce ad aumentare lo stress, le ansie, i sentimenti depressivi, il senso di fatica fisica ed emotiva, legato anche alle difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare. E allora diventare madre, acme della ‘creatività, è vissuto come ‘perdita’: una perdita di tempo fra cose inutili, una perdita di opportunità di lavoro e di carriera, una perdita di libertà personale. Donne in teoria libere di scegliere, di decidere, di essere se stesse divengono timorose, si sentono impreparate a convivere con la forza dell’evento maternità, con il dolore e con la gioia, con la grande potenza.
E fanno meno figli, in un’età più matura e solo in un fantasmatico “momento opportuno”. L’Italia è uno dei paesi con il più basso tasso di natalità nel mondo, è il paese in Europa con il maggior numero di donne che diventano madri per la prima volta dopo i 40 anni.
Il ritmo biologico della fertilità sembra non coincidere più con il tempo del desiderio, il modo di vivere impone al nostro corpo e al nostro esistere storture che non rispettano più le scadenze, con il conseguente aumento della dipendenza dal sapere medico, dalle promesse suadenti della scienza e della tecnica. Si chiede alle donne di combattere, di divenire ‘guerriere’, di competere per il lavoro, il successo, la conquista del maschio (nella quale, a volte, anche il sesso diviene un nuovo ‘dover essere’ invece che appagante stare dentro di sé), di correre, essere efficienti… In una società che ha perso reti di rapporti, riferimenti sociali, luoghi di ritrovo e di natura, la maternità non riesce più a farsi spazio, non trova più quel tempo lungo e dilatato in cui non si sa cosa accade (un mistero che il nostro tempo offende con continue intrusioni ed esorcizza con continue pre-dizioni), diventa timida e rara. L’evento troppo a lungo posticipato è poi seguito in modo quasi esasperato dal punto di vista medico: visite continue, esami costosi, all’inseguimento di sicurezza e di “risultato”.
Le donne di Bali, ci racconta Robin Lim, non possono entrare in cucina per 42 giorni dopo la nascita, il che assicura che qualcun altro cucina per loro; i bambini di Bali per 6 mesi dalla nascita non possono essere messi a terra, il che vuol dire che tante braccia sono pronte a sorreggerli, così come il divieto per le nostre donne di stare con le mani in acqua dopo il parto aveva un significato di protezione della puerpera dai pesanti lavori domestici di un tempo.
Al di fuori dell’occidente, dove il post-partum è ancora celebrato dalla comunità, i riti incanalano la paura e rinsaldano la donna nel nuovo ruolo, mentre noi abbiamo abbandonato quelle tradizioni e quei riti che erano indirizzati a coltivare la vita, non solo quella dello spirito ma anche la vita materiale.
Robin Lim è un’ostetrica, ma è molto di più di una figura professionale e professionalizzata, perché accanto alla scienza medica ha conservato una medicina povera, legata al saper fare, a quel sapere popolare, radicato e diffuso, fondato sull’esperienza, accettato come parte del sistema simbolico e culturale. E’, –diremmo nel mio Veneto- una “co-mare”, colei che è “madre insieme”. Una parola che ha finito per indicare una figura un po’ petulante, proprio perché ha ‘sempre una risposta per tutto’.
La ‘co-mare’ Robin Lim sa ciò di cui tutte le donne hanno bisogno in gravidanza, nel parto e nel dopo parto: cose semplici ma essenziali per il benessere e la cui privazione crea grande disagio. Hanno bisogno di trovare il cibo pronto, così come hanno bisogno di rassicurazioni. Hanno bisogno di aiuto per il lavoro domestico, così come hanno bisogno di tenerezza. Hanno bisogno di baby sitter se hanno altri bambini, così come hanno bisogno di un sostegno premuroso. Hanno bisogno di succhi di frutta e tisane. Hanno bisogno di poter contare non sullo sporadico e non garantito aiuto dei familiari, ma sulla sicurezza di un supporto professionale e disponibile.
In molte altre culture, tra cui anche vari Paesi occidentali (in Olanda, per esempio, e nei Paesi del Nord dove tante nascite avvengono in casa), ma non ancora in Italia, è il servizio sanitario pubblico ad assicurare un’“assistente professionale di maternità” a domicilio. Un angelo che gestisce le visite, fa i test, risponde alle domande, supporta l’allattamento, ma anche (e solo chi ha partorito sa quanto questo sia prezioso nei primi giorni) si prende cura della biancheria, della cucina, della spesa, dei bambini più grandi, consente un sonno ristoratore…
Forse questi Paesi dell’Europa settentrionale non sono solo società incredibilmente umane, ma hanno scelto questo servizio anche in conformità a semplici calcoli economici: non c’è dubbio che sia più conveniente fornire assistenza al puerperio piuttosto che curare le complicazioni prodotte dagli esaurimenti o i maltrattamenti dovuti a negligenze e depressioni, o rimediare piccoli e grandi drammi familiari, senza ovviamente contare i costi umani. Così come non vi è dubbio, per esempio, che l'allattamento al seno non sia ‘solo’ una questione di scelta personale a breve termine, ma di salute pubblica a lungo termine: i bambini allattati al seno hanno meno probabilità di sviluppare una serie di problemi di salute sia nell'infanzia sia nell'età adulta, con conseguenti minori oneri sulla sanità pubblica.
Perché mettere al mondo un figlio, non attiene solo alla vita privata.
Quando una donna, una coppia sceglie di avere un bambino lo fa per tutti noi, per la comunità umana. Non è un faccenda privata, che possa essere lasciata a soluzioni individuali, che vanno dalla rinuncia ai figli, al rinvio della maternità, all’arrangiarsi delle reti familiari. Un nuovo nato è un dono, è per tutti un domani, un sogno, un futuro. Ed è opportuno che la società esprima gratitudine a chi di questa dote si fa intermediario, iniziando a considerare parto e nascita eventi sociali. E se ne faccia carico.
La grande competenza di cura e d’ascolto che le donne hanno maturato nei secoli e di cui l’umanità ha usufruito, va riconosciuta come valore. Invece si tende a dimenticare quanto ogni madre sia essenziale alla società perché il suo lavoro non costa nulla e non produce profitto per alcuno.
Questo testo di Ibu Robin Lim esplicita il ‘valore’ della maternità e suggerisce politiche che sappiano proteggere l’integrità del momento e rendano sostenibile e fecondo il primo periodo di vita con un bambino. E lancia anche al nostro sistema politico e sociale la sfida a trovare forme sociali e organizzative che diano spazio e riconoscimento alla maternità, assumendo l’approccio lungimirante della “nascita come bene comune”! E’ ormai doveroso considerare gravidanza, parto, puerperio e allattamento un continuum, momenti, oltre che della vita fisica, psicologica, sessuale, affettiva anche relazionale e sociale. E nessuna di queste prospettive può essere misconosciuta, né sacrificata agli aspetti sanitari, ma vanno garantite innanzi tutto la continuità assistenziale e il rispetto della fisiologia, riconoscendo la soggettività di ogni esperienza di maternità e rendendo concrete opportunità per opzioni diverse.
Chi ha attraversato questa esperienza, sa di quanti mondi abbia bisogno la maternità, di quanti affetti, memorie, condivisione, accoglienza, sostegni. Sa che in questa esperienza, se non si vuole prendere la facile scorciatoia della colpevolizzazione, nessuna donna può essere lasciata sola: ha bisogno di tutti, della natura, degli amici, dei familiari, della società, dell’ambiente, di una buona sorte, della provvidenza ….
“Per allevare un bambino ci vuole un villaggio” ci rammenta la saggezza di Gandhi.
Tante persone di buona volontà sparse in tutto il mondo lavorano per costruire per le donne, tutte uniche e tutte uguali, un ‘villaggio’ di relazioni. Perché di qua e di là dal mare, che è Madre, la maternità è antitetica alla solitudine.

Tiziana Valpiana
Presidente Onoraria Associazione Nazionale ‘Il Melograno’
Senatrice,
Commissione Sanità,
Commissione Bicamerale per l’Infanzia